• User Newbie

    Diffamazione aggravata mediante pubblicazione su Social network.

    buongiorno,
    sono un dirigente a tempo indeterminato di un grande comune.
    Mi occupo della difesa in
    giudizio dinanzi al tribunale ordinario delle ordinanze di ingiunzione che irrogano sanzioni
    amministrative pecuniarie ex lege numero 689 del 1986.
    Ecco i fatti per cui chiedo il Vostro parere:

    1. nel mese di dicembre 2014 venivo querelato (tempestivamente) da un mio collega - dirigente
      competente a emettere le ordinanze ingiunzione in questione - ;
    2. la querela si riferiva ad un post pubblicato (nell'ottobre 2014) sul mio profilo di un noto Social network, in cui si accennava a tale "generalissimo della Repubblica marinara" come autore di alcune condotte poco trasparenti nella gestione di sanzioni amministrative; allo stesso tempo, la querela mi indicava come autore di alcune mail anonime che avevano denunciato irregolarità nella gestione delle sanzioni di cui sopra che erano sfociate in un'indagine amministrativa;
    3. il querelante si riteneva persona offesa identificandosi nel "generalissimo della Repubblica
      marinara", poiché (dal 2007 al 2012) aveva prestato servizio presso un comune facente parte delle
      quattro repubbliche marinare nella qualità di comandante della polizia municipale;
    4. il pubblico ministero chiedeva l'archiviazione del procedimento a mio carico ravvisando nel mio
      post l'esercizio del diritto di critica scriminante il reato di cui all'articolo 595, primo e terzo
      comma del codice penale. Egualmente chiedeva l'archiviazione per quanto concerneva le mail anonime, il cui autore era rimasto ignoto anche successivamente alle indagini preliminari;
    5. il mio collega, e querelante, faceva opposizione alla richiesta di archiviazione. Per dimostrare
      che una delle mail "anonime" era a me riconducibile, dichiarava falsamente che ad una di esse era
      allegato un documento indicante una casella di posta elettronica da cui si poteva risalire alla mia
      persona;
    6. il GIP respingeva l'opposizione relativamente alle mail anonime; tuttavia la accoglieva in
      merito al post apparso sul Social network, in quanto non riteneva sussistente il diritto di critica
      ravvisato dal pubblico ministero, facendo notare che la mia difesa (nonostante le mie insistenze)
      non aveva obiettato alcunché in ordine alla non riconducibilità al querelante del mio messaggio in
      relazione al solo epiteto "generalissimo della Repubblica marinara";
      Ciò premesso, essendo in attesa del decreto di citazione a giudizio (per il quale dovrà attendere circa 1 anno), chiedo se a vostro parere la migliore strategia processuale sia quella:

    A) di sollevare perplessità in ordine all'individuabilità con certezza nel querelante del
    destinatario del post apparso sul mio profilo del Social network, oltre ogni ragionevole dubbio. E
    ciò, basandosi sulla giurisprudenza secondo cui è necessario, in assenza dell'indicazione
    nominativa dell'offeso, che dal messaggio offensivo sia possibile ricavare, con ragionevole
    certezza, l'inequivoca ed agevole individuazione del medesimo, intesa come piena ed immediata
    consapevolezza dell'identità del destinatario che abbia avuto chiunque lo abbia letto, facendo
    applicazione di criteri oggettivi - non essendo consentito il ricorso a intuizioni o congetture - :
    Cass. pen. Sez. V, 05 dicembre 2008, n. 11747; cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26 marzo 2015, n. 20366).
    In particolare, il mio post non fa alcun riferimento:
    a) al comune di Genova, né al comandante della polizia municipale;
    a) alla città presso cui prestò servizio il "generalissimo della Repubblica marinara"
    b) al mio attuale comune, né alla struttura di appartenenza del querelante, né alla sua qualifica
    di dirigente;
    c) a persone, al luogo e al tempo in cui si sarebbero verificati i fatti ivi descritti;
    d) ovviamente, alle generalità del querelante.
    B) oppure andare al dibattimento, invocando i seguenti mezzi di prova circa la sussistenza della
    sostanziale verità dei fatti (in funzione della sussistenza del diritto di critica):

    • sul piano documentale:
    1. una mail indirizzata sulla casella di posta elettronica personale dell'assessore competente, in
      cui - per prudenza, in modo generico - facevo riferimento ad irregolarità in merito alla gestione
      di una causa specifica, citando per nome il funzionario su cui il collega era intervenuto;
    2. una registrazione telefonica intercorsa tra me e un sindacalista di Genova, che confermava
      (purtroppo, però, de relato) il contenuto del mio post;
    • quali testimoni, l'assessore che ha ricevuto la mail di cui al numero 1), il funzionario
      "contattato" dal querelante, nonché il sindacalista di cui al numero 2).
      C) oppure ancora, se adottare gli opportuni accorgimenti per cercare di raggiungere il termine di prescrizione, che dovrebbe essere nel caso di specie di 7 anni e mezzo (preciso che sono totalmente digiuno di diritto penale.
      Vi sottopongo infine due altri problemi correlati:
    1. il primo riguarda la possibilità di proporre denuncia per calunnia nei confronti del querelante,
      appurato senz'ombra di dubbio che egli, in sede di opposizione, produceva un documento (a me riconducibile, ma artificioso) che falsamente dichiarava essere stato allegato ad una mail "anonima" per cercare di ricondurmi ad essa;
    2. il secondo, concerne le dichiarazioni nei pubblici concorsi: in particolare, se posso rendere
      dichiarazione negativa sulla circostanza di non essere a conoscenza di essere sottoposto a
      procedimento penale, poiché:
    • non sono stato ancora raggiunto dal provvedimento di citazione a giudizio;
    • in ogni caso, il decreto del GIP che ha parzialmente accolto l'opposizione del querelante non mi
      è stato notificato personalmente, né mi è stato trasmesso formalmente dal mio difensore.
      Grazie mille per la collaborazione !
      Alessandro Dantoni

  • User Attivo

    Caro Alessandro (sconsiglio di firmarti con il cognome per vicende così delicate),
    sostanzialmente dipende tra A e B quello che la tua difesa è più brava a fare. A mio avviso sono modi di procedere equivalenti però se i tuoi avvocati sono particolarmente bravi/si sentono particolarmente sicuri (alla luce dei documenti che avranno ben analizzato) in una via è bene che si proceda in quella. E la C può essere integrata nella A o B che eventualmente verrebbe scelta.

    Ovviamente procedi con la denunzia per calunnia (per i fatti di cui hai prove certe).


  • User Newbie

    caro Fregior,
    innanzitutto un grazie per la risposta (il nome e il cognome ovviamente sono pseudonimi).
    Il problema è che il mio avvocato - tra l'altro considerato il migliore della città (che è una metropoli) - da un lato ritiene che l'ipotesi A) sia perdente, poiché a suo dire nessun altra persona potrebbe rispondere al nomignolo "generalissimo della Repubblica marinara"; dall'altro ravvisa la pericolosità dell'ipotesi B).
    Quest'ultima ipotesi, in effetti, presuppone la testimonianza veritiera del mio ex funzionario "avvicinato" dal collega per "aggiustare" il giudizio (funzionario che, essendo rimasto nell'area, è suscettibile di "pressioni").
    Infine, a mia espressa domanda se l'ipotesi "prescrizione" fosse da scartare a priori, risposto affermativamente.
    A questo punto mi dirai: ma qual è la linea difensiva del tuo legale ?
    Beh, è quello che vorrei scoprire anch'io ... ma si sa, con certi baroni è difficile discutere, è cambiare legale in corsa non è mai una buona cosa.
    Comprendo benissimo come sia arduo consigliarmi, ma secondo te cosa dovrei fare ?
    Ho consultato informalmente un secondo legale, il quale mi ha rassicurato sulla bontà dell'ipotesi A), ma mi ha anche sconsigliato di revocare il mandato al "barone".
    Come puoi ben capire, sono confuso e preoccupato ... cosa faresti, nella mia situazione ?


  • Attenzione!!! usare un nome e cognome ESISTENTE che non sia il proprio é un reato.


  • User Newbie

    E'la combinazione italianizzata tra il nome di Dumas e il cognome di Danton ... io sono avvocato amministrativista, non me ne intendo molto di tutela (a mio parere, nel caso di specie solo civilistica, del nome), ma, se debbo esser sincero, sono preoccupato per ben altro che per l'uso evidente di uno pseudonimo ... Comunque grazie, eviterò per il futuro, anche se preferirei sinceramente ricevere consigli sul mio problema effettivo ...


  • User Attivo

    Non sapendo esattamente cosa tu abbia scritto risulta difficile esprimere un parere; l'ipotesi A sarebbe stata sicuramente più facile da seguire qualche anno fa prima della sentenza 16712/2014 Cass. Pen. I. ora è certamente più difficile. Per cosa ti ha querelato diffamazione a mezzo stampa (595 C.P. secondo comma)? Purtroppo per la prescrizione mancano ancora un bel po' di anni. Però andare a dimostrare l'effettivo comportamento inidoneo del soggetto in questione è sempre difficile, che prove avresti (oltre le testimonianze, facilmente influenzabili)?


  • User Newbie

    Caro Fregior,
    grazie per la risposta, che dimostra la tua indiscutibile competenza.
    Per quanto riguarda l'ipotesi A), la cassazione ha scrutinato una fattispecie assai simile alla mia (Sent. n. 33442 del 14-08-2008, ripresa da Cass. Pen. Sez. V, 26 marzo 2015, n. 20366) stabilendo che, quanto ai criteri per "individuare il "bersaglio" della dichiarazione diffamatoria" soggiunge che "è stato ritenuto (ASN 200515643 - RV 232135) che tale individuazione (che ovviamente incide sulla legittimazione all'esercizio del diritto di querela) deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso, sia in via processuale, che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell'identità del destinatario, che abbia avuto chiunque abbia letto l'articolo diffamatorio".
    In quel caso, è vero, la critica del querelato si appuntava genericamente sui vigili urbani di Milano, che non venivano mai indicati nominativamente, ma tuttavia anche il mio messaggio non fa alcun riferimento:
    a) al comune della "Repubblica marinara" presso cui prestò servizio il querelante, né al comandante della polizia municipale;
    b) al mio comune, né alla mia "area organizzativa", né all'incarico dirigenziale rivestito dal querelante;
    c) al luogo e al tempo, né ad altre circostanze in cui si sarebbero verificati i fatti ivi descritti;
    d) ovviamente, alla persona del querelante.
    Non si potrebbe pertanto sostenere che l'individuazione in sè stesso fatta dal querelante del "destinatario" del messaggio è frutto di una mera (e soggettiva) congettura, mentre la sentenza che tu citi qualche correlazione la dà ("attualmente", "collega", eccetera) ?.
    Per quanto riguarda l'ipotesi B) hai ragione, ma non posso essere precisissimo per ragioni di riservatezza. Comunque, il contenuto "diffamatorio" del messaggio può essere suddiviso in due parti:
    a) la prima, in cui si accenna ironicamente una prassi, seguita dal "generalissimo", di far scrivere bigliettini ai sindacalisti che lo contattavano, per poi "usarli" nel caso di contrasti. A questo riguardo, ho una registrazione in cui, dopo essere stato molto più esplicito in una precedente telefonata (non registrata), il sindacalista afferma che "... eravamo in contrasto e ogni tanto buttava lì questa cosa ... ma lui non me l'ha mai detto, lo diceva a qualche mio collaboratore ... diceva: 'ah, lui parla parla ma c'ho dei pizzettini che se succede qualcosa ...". Mi rendo conto che è labile confine tra la testimonianza de relato o le "voci correnti", ma si tratterebbe di chiamare a testimoniare sul punto il sindacalista di cui trattasi, affinché sia più esplicito;
    b) la seconda, in cui si fa riferimento a un giudizio di opposizione avverso ordinanza ingiunzione in cui, a memoria difensiva già depositata dal mio servizio (e quindi essendo preclusa, ex articolo 416 c.p.c., richiamato dall'articolo 6.1, d.lgs n. 150 del 2011, la citazione di nuovi testimoni), il "generalissimo" contattava una mia collaboratrice (che ci difendeva nell'occasione) per "chiedere al giudice di autorizzare la testimonianza di un agente" che avrebbe "commesso un errore nel verbale di accertamento" e, "pentitasi", intendeva "ritrattare". Questa mia collaboratrice mi riferiva il tutto, e io a mia volta ne parlavo con l'interessato escludendo ogni ipotesi in tal senso.
    Contestualmente, inviavo una mail che faceva cenno di questa "anomalia" sulla casella di posta elettronica personale dell'assessore competente e menzionava il cognome della mia collaboratrice. Anche in questo caso, si tratterebbe di chiamare a testimoniare, certamente la mia collaboratrice e (forse) l'assessore.
    Sull'ipotesi "prescrizione" credo abbia ragione tu - ed il mio difensore - (è "di scuola"). Ma, non essendo pratico di tempi della giustizia penale, mettendo in conto di arrivare ad un ricorso per cassazione, sarebbe ipotizzabile ? Tieni conto che dal fatto è trascorso un anno e quattro mesi; per la citazione a giudizio occorrerà almeno un anno, dopodiché, sentenza di primo grado, eccetera ...
    Scusami per la lunghezza e la prolissità, ma approfitto della professionalità ...