• User Attivo

    e-commerce all´estero

    Ciao a tutti,
    Nessuno sa come funge all´estero, in europa? Considerata la burocrazia italiana, non tanto per l´apertura del proprio e-commerce ma sopratutto per gli aspetti fiscali e la necessitá di un fatturato minimo per ripagarsi delle sole spese fiscali, previdenziali ... chiamiomele burocratiche.

    Si insomma, a nessuno gli é venuto in mente di fondare la propria attivitá all´estero? Alcuni utenti di GT risiedono all´estero, nessuno che abbia una propria attivitá e ci possa dire per grandi linee la sua esperienza?

    Si insomma vale la pena seguire quesa strada anche solo per reperire info?

    L´e-commerce é alla portata di tutti ma la burocrazia crea un grande ostacolo ai piccoli che vogliono solo testare assagiare il campo, o anche tirar su qualche eurotto con un proprio obby o passione.

    Qualcunque opinione é benvenuta! :ciauz:


  • User Attivo

    In Europa funziona come da noi, almeno per quanto riguarda l'e-commerce.

    Pensa solo che le maggiori normative che regolano l'e-commerce italiano (ne cito due su tutte: D.Lgs. 185/99 e D.Lgs. 70/03) non sono altro che il recepimento di direttive comunitarie. 🙂

    Sul tema fiscale a livello più generale non saprei dirti.

    Ciao,
    Chiara


  • User Attivo

    Noi lo facciamo con con circa 180 paesi, la coplicazioni maggiori sono di due tipi:

    • Gestione IVA
    • Paesi non UE sempre senza IVA
    • UE esistono tre tipologie
    • UE privati IVA Italiana
    • UE Aziende NO IVA
    • Territori esenti IVA
    • Gestione spedizioni
    • Un vero problema sta nella scelta del coriere adatto alle tue esigenze
    • Offrire vari tipi di serviziAltra grossaproblematica è data non tanto dal sito in 2 o lingue ma dal servizio sia pre che os vendita fatto in lingua che non deve essere pressapochistico.

    Ciao

    Sèvero


  • User Attivo

    grazie delle info Severo ma io intendevo e-commerce con sede legale all´estero. Magari per e-commerce in Germania o e-comerce in Iralanda la burocrazia "fiscale" é minore o assente e allora se io ho un progetto modesto, un prova di e-commerce, posso fondare la mia attivitá dove meglio mi trovo e provare a vedere se va

    E´un problema diffuso e ovvio quello dei limiti al mini-e.commmerce italiano quello fatto da studenti e smanettoni del PC. E´un problema che meriterebbe una analisi e una considerazione maggiori, ci potrebbe essere un potenziale enorme. chissá quanti studentelli con un´ottima idea non hanno lanciato la loro attivitá perché non desiderano andare dal commercialista, perché non vogliono pagare anticipatamente 2.000 euro (o quanti sono) all inps per la pensione. Insomma questa era la mia idea: trovare un paese europeo dove si potesse iniziare l´attivitá a "costo burocratico prossimo allo zero".

    Mi aspetto molti utenti professionisti che animano questo forum venire a dirmi che o si fanno le cose sul serio p meglio lasciar stare, che gli studentelli smanettoni giá troppi danni hanno fatto ai seo ai web master e agli e-professionisti in genere. Invece io, che studentelo smanettone non sono, credo che sarebbe una guadagno per tutti se chi ha un´idea buona ma non ha le sicurenza imprenditorialista possa provare a fare la sua esperienza senza rischi e senza costi e sopratutto senza troppo casini di burocrazia.:nonono: :vaiii:


  • User Attivo

    So di sicuro di altri due utenti di questo forum che vendono all'estero e potrebbero parlare delle loro esperienze.
    Comunque qui servirebbe un commercialista ed un avvocato esperti di diritto internazionale per darti una risposta + corretta.

    Tieni presente che se anche la ditta è fuori dall'Italia e i prodotti parto dall'Italia devi sottosatare alle norme italiane e comunque come italiano possessore di un azienda estera zona EU, vedi Irlada, probabilmente il fisco si farebbe sentire comunque.

    Altra piccoa notazione, esiste una norma europea che righuarda tutte le forme di commercio indiretto, ovvero da catalogo o da Internet, che pone di limiti oltre i quali sei costretto ad aprire un unità locale in quella nazione; i valori sono ancora in ECU e non sono stati aggiornati.

    Ciao

    Sèvero


  • User

    Io ho trovato queste informazioni...
    <LI class=text>nell’ipotesi di cedente comunitario e acquirente privato fiscalmente residente nel territorio italiano, l’applicazione dell’Iva in Italia, se il cedente comunitario ha effettuato vendite nei confronti di privati italiani nell’anno precedente o in corso d’anno, per un ammontare pari o superiore a 27.888,67 euro (in tale caso, il soggetto comunitario è tenuto a nominare un rappresentante fiscale, ovvero a procedere all’identificazione diretta in Italia, ai sensi dell’articolo 35-ter del Dpr n. 633 del 1972, al fine di assolvere gli obblighi ai fini Iva nei confronti dell’Erario italiano). Viceversa, in caso di non superamento del predetto limite, il cedente comunitario può scegliere di assoggettare l’operazione a Iva nel suo Stato di residenza .<LI class=text>Quello che mi domando è questo.<LI class=text>Visto che in inghilterra per una ltd fino a 60.000 sterline non è necessaria la partita iva(auspicabile per chi vende all' etero ma non credo obbligatoria) come fa lil fisco italiano a verificare il fatto?


  • User Attivo

    @Giuseppe Casolari said:

    Quello che mi domando è questo.<LI class=text>Visto che in inghilterra per una ltd fino a 60.000 sterline non è necessaria la partita iva(auspicabile per chi vende all' etero ma non credo obbligatoria) come fa lil fisco italiano a verificare il fatto?

    Non cosnosco quali siano i costi inglesi per una società ma sinceramnte un azienda xhe fatturi solo 90.000? non penso che stia in piedi facilmente, tutto dipende anche di margini sui prodotti.

    Oltretutto se pensi di fare acquisti intracomunitari la P.IVA ti serve per non pagare l'IVA,

    Altro discorso a livello comunitario ormai le *Camere di commercio si parlano * e di sicuro lo stato Italiano verrà a conoscenza del tuo reddito in Inghilterra.

    Ciao

    Sèvero


  • User

    I costi inglesi per una società sono veramente bassi.
    Chiaramente poi in italia si pagano i dividendi sul reddito procurato dalla società inglese.
    La domanda che si pone ,è quando si definisce stabile organizzazione in italia ovvero quando si è obbligati ad aprire una società in italia.
    Io italiano posso lavorare ed essere assunto part time con un contratto di telelavoro dalla societa estera.
    In questo modo si otterrebbero due cose.
    Pagherei le tasse sui dividendi della societa ltd fondata a londra all' erario italiano.
    La societa ltd mi assumerebbe regolarmente con un contratto di telelavoro e pagherebbe allo stato italiano le tasse riguardanti il mio lavoro.
    Pagare un dipendente in telelavoro configura la stabile organizzazione e quindi l' obbligo di aprire una sede secondaria in italia ?
    Qui mi domando se le società che danno lavoro offshore possano assumere dei dipendenti in uno stato estero con un contratto di telelavoro oppure sono obbligate a pagarli come freelance con l' obbligo per (chi esegue il lavoro,di aprire partita iva).
    Se cio fosse vero ,si potrebbe comunque in linea teorica rivolgesi ad una societa secondaria la quale avrebbe la partita iva e potrebbe retribuirmi con un contratto part time.
    Da verificare i costi.
    Mi scuso per la poca chiarezza ma mentre conosco abbasstanza bene le problematiche estere ,avendo lavorato a Londra e gestito un' attività in un paese del terzo mondo, conosco ben poco la legislazione italiana e come collegare legalmente le cose senza incorrere in problemi con l' erario.
    Grazie