• User Attivo

    IX Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (19-25 ottobre 2009)

    **Dal ministero **

    "L?italiano tra arte, scienza e tecnologia sarà il tema della nona edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, in programma dal 19 al 25 ottobre 2009.

    Le manifestazioni culturali della IX Settimana metteranno in rilievo la creatività italiana nell?arte, nella scienza e nella tecnologia e il suo rapporto con la creatività linguistica, che nel corso della storia ha fornito tanti contributi al patrimonio linguistico europeo e universale: dalla musica alla lirica, dall?arte figurativa all?architettura, dalla scienza alla tecnologia, dalla moda al design, dalla canzone allo sport, dall?alimentazione all?arte della cucina.

    La Settimana della Lingua italiana nel Mondo nasce nel 2001 da un?idea dell?Accademia della Crusca e della Direzione Generale per la Promozione e Cooperazione Culturale e, sotto l?Alto Patronato del Presidente della Repubblica, ogni anno acquisisce maggior forza e un numero sempre più grande di adesioni da parte de di istituti di cultura e ambasciate, che promuovono eventi."

    Carissimi,
    vi segnalo questo evento sicuramente importante perchè da un'idea dell'apporto degli italiani alla cultura mondiale.:sun:

    Ma quale sarà il posto della linga italiana in un mondo sempre più globale con tendenze all'omologazione culturale?:?

    ciao:ciauz:

    marlomb


  • Consiglio Direttivo

    L'ultima domanda di Marlomb merita attento studio, riflessione e dibattito.

    Nell'attesa di ricavare un po' di tempo per alcune considerazioni in tal senso, mi permetto di riportare un breve passo dal manifesto dell'iniziativa segnalata sopra, redatto dall'Accademia della Crusca:

    Per la IX “Settimana” l‟Accademia della Crusca procurerà di documentare con pubblicazioni l‟opera di Leonardo da Vinci e di Galileo, osservata dalla prospettiva linguistica, e la vicenda particolarissima della rivoluzione alimentare ed economica
    avvenuta nella tecnologia molitoria del grano nel Cinquecento con l‟invenzione del buratto meccanico: un evento al quale si ispirarono i fondatori dell‟Accademia per simboleggiare la loro innovativa opera di vaglio dei testi e della lingua.

    Nell'anno galileiano, dunque, celebriamo non solo la bellezza di una lingua che ha dato al mondo Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Manzoni e Pirandello, ma anche un idioma che è stato in grado di esprimere per la prima volta e in modo compiuto, limpido, impeccabile, le idee più innovative della Scienza Moderna.

    Non è affatto un contributo da poco allo sviluppo del pensiero occidentale: se la prosa di Galileo fosse stata più contorta e meno incisiva, la potenza detonante delle sue idee si sarebbe annacquata in un vocio fiacco; se il suo lavoro non fosse corso in lungo e in largo per l'Europa, oggi la nostra storia e il percorso del progresso sarebbero stati diversi.

    A Galileo, inoltre, va tributato il merito di aver dato alla divulgazione una forma tanto antica quanto efficace: quella del dialogo, che fin dai tempi di Platone resta non solo il modello-principe di confronto tra idee, ma anche e soprattutto il mezzo naturale di sviluppo di un programma di ricerca (che appunto vive e si alimenta nel confronto tra le posizioni di scienziati diversi per opinioni, formazione e punti di vista).

    Sulla genialità di Leonardo in tanti - infinitamente più autorevoli del sottoscritto - si sono già pronunciati; aspetto tuttavia con interesse le conclusioni dei "Cruscanti", poiché il genio vinciano ci ha abituato a continue sorprese; chissà che stavolta le novità non arrivino dal suo modo di scrivere, prima che dai suoi inarrivabili disegni, bozzetti e progetti.

    Buona settimana della lingua italiana: in questa sezione proveremo a celebrarla degnamente, spero con l'aiuto di tutti voi. 🙂


  • Consiglio Direttivo

    @marlomb said:

    Ma quale sarà il posto della linga italiana in un mondo sempre più globale con tendenze all'omologazione culturale?:?

    Avevo promesso una riflessione in più su questo punto ed oggi, come promesso, eccomi a commentare.

    Il problema è molto vasto e complesso; per comodità lo scompongo in alcuni suoi aspetti essenziali.

    L'Italiano nel mondo globale

    Qui, purtroppo, credo non ci sia molto da dire: il nostro idioma nazionale è numericamente poco rilevante sullo scacchiere internazionale e non ha speranza di competere con colossi come il Cinese mandarino o l'Inglese (mi riferisco all'Inglese "semplificato" e "globalizzato" che parlano, per intenderci, i viaggiatori che si spostano nel mondo, non alla versione purissima e ricercata che si insegna a Oxford o Eton).

    È altamente probabile che dell'Italiano possano sopravvivere, sulla lunga distanza e su scala planetaria, nicchie di lemmi e minuscole sacche di parole ed espressioni, nei campi in cui siamo famosi nel mondo (musica lirica, opera, cucina).

    Termini come Maestro, Pastiera, Cassata, Allegro, Andantino, Mozzarella etc.

    Un magrissimo bottino, si potrebbe pensare, ma in realtà è una grande vittoria: decine di lingue sono semplicemente scomparse senza lasciare alcuna traccia sulla scena internazionale e altrettante sono destinate a cadere nell'oblio senza fissare alcun ricordo di sé nella storia dell'espressione orale e scritta.

    L'Italiano in Italia

    Storia ben diversa per quel che concerne la nostra penisola, dove l'Italiano - seppur in un continuo processo di trasformazione - è destinato ad essere ancora per qualche secolo una lingua viva e parlata correntemente da milioni di persone.

    Il problema che mi pongo sempre più spesso, però, è: quale lingua stiamo coltivando, nutrendo, proponendo e portando avanti?

    Ci sono due orientamenti che vedo con (preoccupante) chiarezza.

    • L'avanzata dei Regionalismi

    Il Federalismo cultural-linguistico è un fenomeno già in atto da molti anni, giunto sul territorio ben prima che vi si affacciasse il corrispondente economico o amministrativo.

    In Italia abbiamo una competizione storica tra lingua nazionale e dialetti (a volte vere e proprie lingue, come il Sardo o il Ladino): per molti decenni la scuola ha esercitato una vigorosa ed efficace azione di controllo del dialetto e promozione dell'idioma unico, contrastando una deriva che avrebbe reso la penisola una babele ingestibile peggio che ai tempi delle Signorie quattrocentesche.

    Attualmente, però, la situazione volge ad un preoccupante epilogo.

    Non mi riferisco ai futuri programmi ministeriali proposti da qualcuno in area Lega Nord - l'insegnamento scientifico del dialetto è una scelta didattica come le altre; per di più, le letterature regionali sono di solito in dialetto e meriterebbero maggiore attenzione - quanto piuttosto al crollo qualitativo dell'insegnamento dell'Italiano, specie nelle scuole primarie.

    Oggi l'Italiano si insegna poco e male: scarsa cura per la fonologia e la ortoepia; nessun riguardo alla morfologia e alla grammatica; desolante inaridimento per sintassi, stilistica e retorica.

    Il risultato? Gli studenti non sono più in grado di leggere, comprendere, interpretare e manipolare i più elementari testi letterari e scientifici (non parlo di Borges o Einstein, ma dei sussidiari), trascinando lacune mostruose fino ai banchi dell'Università.

    Errori e impostazioni sbagliate che fino a vent'anni fa sarebbero state punite con bocciature a ripetizione oggi vengono tollerate con una leggerezza imperdonabile e lasciate correre, come se un giorno qualche sciamano della lingua, complice una bacchetta magica e un incantesimo, potesse estirpare anni di ignoranza e trasformare gli studenti in parlanti perfetti.

    In questo bacino che perde acqua da tutte le parti si insinua ovviamente il dialetto (sovente parlato da genitori, familiari, amici e colleghi), contro il quale non c'è più alcuna opposizione da parte dell'italiano normato.

    Oggi esiste un esercito di persone, specie al sud (a Napoli ho a che fare con loro quotidianamente), che considera l'italiano una lingua straniera non dissimile dall'Inglese ed è assolutamente incapace di esprimersi appropriatamente (oltre al fatto che proprio non capisce cosa gli venga detto, quindi esige che gli si parli in napoletano).

    Non so quale sia il livello di consapevolezza nello Stato di questa frana abissale oggi in corso senza alcun ostacolo a fermarla, ma la questione è aperta ed è attualmente senza speranza.

    Iniziare ad insegnare il dialetto senza prima ficcare a viva forza nella testa degli studenti le regole della nostra lingua nazionale non soltanto è inutile, ma è sommamente dannoso (a meno che il progetto segreto che sta sotto tutto questo non sia il ritorno alle regioni con le fortificazioni di difesa, i dazi coloniali, le unità di misura diverse per ogni area del Paese e il tipo alla frontiera che ripete stancamente nel proprio dialetto "Chi siete? Quanti siete? Dove andate? Un fiorino!").

    • L'Italiano alla moda

    Supponiamo però per un istante che il problema dei dialetti e delle segregazioni linguistiche regionali non esista; immaginiamo un idillio in cui tutti parliamo con la stessa voce, senza inflessioni.

    L'altro problema è: quale modello espressivo ci viene presentato dai mezzi di comunicazione e dalle personalità pubbliche?

    A mio parere, il panorama in questo caso è se possibile ancora più desolante (almeno il dialetto ha una propria storia ed una propria ricchezza).

    Oggi si parla essenzialmente per slogan e per brevi frasi atomizzate, senza che un pensiero possa costruirsi e formarsi in tutta la sua complessità. Faccio qualche esempio.

    La televisione dei "talk show" (letteralmente, 'Spettacolo di chiacchiere') offre un modello linguistico in cui sono abolite le proposizioni subordinate, i congiuntivi, le ellissi e le ipotassi: si parla come scrivono i (cattivi) giornalisti, con soggetto più verbo più eventuale complemento opzionale.

    Uno spettacolo miserabile in cui argomenti di una complessità semplicemente straordinaria, che meriterebbero ragionamenti articolati e quindi frasi parimenti elaborate - come il lutto e il senso della morte, le relazioni interpersonali, l'amore, l'economia, il lavoro, la sicurezza etc. - vengono sbriciolati in una mitragliata interminabile di proposizioni brevi, urlate ed elementari.

    "Te non sei vera!", "Lei mente sapendo di mentire!", "Come si sente dopo la morte di suo figlio?", "Quello che viene detto è il contrario della realtà!", "L'ho portata fuori, in esterna [:x], ci siamo piaciuti, è scattato il bacio"...

    Cosa c'è dentro frasi del genere, che sentiamo tutti i giorni? Quali argomenti portano a beneficio di un dibattito? Cosa lasciano trasparire dell'universo di elementi che vi sta dietro?

    Risposta: nulla. Assolutamente nulla.

    Se poi qualcuno si azzarda a sovvertire l'ordine, a parlare piano, a fare un ragionamento appena più complesso (di nuovo: niente a che fare con Borges o Einstein: proprio il minimo sindacale), ecco che arriva immancabile l'alt:

    "Non ci stiamo con i tempi", "Stringa, per favore", "La gente non capisce", "Se, se, te parla che io ti ho capito", "La smetta!"...

    Non ravviso, purtroppo, alcun Eden linguistico in cui rifugiarsi (se si eccettuano forse le sale dell'Accademia della Crusca) da un Inferno così squallido e decadente.

    Se non ci si dà una regolata, l'involuzione linguistica - che è anche involuzione del pensiero e autodistruzione di una civiltà - non potrà più essere arrestata e il nostro Paese scivolerà in un limbo in cui, impossibilitati ad esprimerci e farci capire, saremo costretti a ricorrere ad altre armi più grossolane per ottenere ciò che vogliamo (e quelle si riducono sempre ad una sola: la violenza pura).

    Diventeremo allora grezzi, muscolari ed elementari proprio come le creature "inferiori" dal codice linguistico insufficiente, perché chi non si sa spiegare non sa pensare, e chi non sa pensare oscilla tra pulsioni basilari incontrollabili.

    (A meno che il progetto segreto non sia di avere un popolo-bue di gente che, incapace di esprimersi, è più facile da raggirare e dominare a colpi di slogan, pane e circensi. Questo piano, però, è fallimentare in ogni caso, perché un popolo istruito e linguisticamente maturo ha l'equilibrio per auto-sostenersi e sopravvivere degnamente, mentre un popolino ridotto allo stato ferino è intrinsecamente incontrollabile e pronto ad affondare trascinando con sé anche chi credeva di poterlo fregare.)

    La chiusa è inevitabile; perdonate lo sfogo:


  • User Attivo

    Carissimo Leo, ottima esposizione dell'argomento!

    @Leonov said:

    È altamente probabile che dell'Italiano possano sopravvivere, sulla lunga distanza e su scala planetaria, nicchie di lemmi e minuscole sacche di parole ed espressioni, nei campi in cui siamo famosi nel mondo (musica lirica, opera, cucina).

    Termini come Maestro, Pastiera, Cassata, Allegro, Andantino, Mozzarella etc.

    Un magrissimo bottino, si potrebbe pensare, ma in realtà è una grande vittoria: decine di lingue sono semplicemente scomparse senza lasciare alcuna traccia sulla scena internazionale e altrettante sono destinate a cadere nell'oblio senza fissare alcun ricordo di sé nella storia dell'espressione orale e scritta.

    Considerando che il linguaggio non è solo un codice ma anche un insieme di significati dietro quel codice il bottino è certamente più grasso, immaginiamo la ricchezza del concetto di "maestro"!:smile5:

    @Leonov said:

    L'Italiano in Italia

    • L'avanzata dei Regionalismi
      [...]
    • L'Italiano alla moda
      [...]

    In linea di massima sono d'accordo sui problemi dell'italiano in Italia, come sottolinei basta leggere i giornali o sentire la radio , ... per chiedersi dove è finito l'italiano corretto. Ti aggiungo che chi ha dei figli conosce perfettamente l'uso degli sms o il dialogo per parole piuttosto che frasi, (potrei dire che la lingua italiana corrente è controcorrente: mentre il mondo si ammanta di colori, la lingua italiana regredisce al bianco e nero con una grammatica grigia).:gtsad:

    Ritorno però alla questione in oggetto, rilanciandola a livello mondiale:

    ha senso coltivare una lingua locale in un mondo globale che tende all'omologazione culturale?:?

    Io credo di sì! Ritengo che non tanto le parole e la loro pronuncia, ma i significati, la semantica dell'italiano sono irrinunciabili e devono quindi contribuire all'evoluzione della nuova cultura.

    Ogni qualvolta un moto dominante ci pressa con il suo linguaggio io ritengo si possa sempre elaborarlo associandolo al nostro per crearne uno ancora più adatto ancora più ricco.

    ciao:ciauz:
    marlomb