• Super User

    Battesimo: Scelta altruista o egoista?

    Sono numerosissimi i casi in cui i genitori scelgono di battezzare (o comunque sottoporre alla cerimonia di iniziazione alla propria religione) i propri figli nati da appena qualche mese. Non sono molti meno i casi in cui i figli, crescendo, scelgono di abbandonare la religione dei genitori per seguire la loro strada.

    Sorge quindi la domanda: E' giusto che i genitori "impongano", almeno per i primi anni di vita, la propria religione ai figli? E' vero che ogni religione presume di essere la sola depositaria della verità, ma è altrettanto vero che ogni persona ha il diritto di scegliere la propria fede. Battezzando i propri figli, non si sta in qualche modo levando loro questa libertà imponendo loro una religione?

    E' vero che fino alla maggiore età i genitori hanno il diritto/dovere legale di tutelare e seguire i propri figli guidandoli e compiendo certe scelte per loro. Ma questo diritto/dovere si estende anche a un territorio così incerto e dibattuto come la religione?

    Inoltre, dando (per amor di discussione) per scontato che sia giusto che li inizino alla propria religione, cosa ci sarebbe da dire nei casi dei genitori che insistono perché i propri figli (magari già in età adolescenziale) continuino a professare la loro fede anche quando loro apertamente dicono di essere contrari?

    E' una questione delicata e controversa... quali sono le vostre opinioni?


  • Moderatore

    Da persona battezzata in tarda età, 6 anni, per scelta dei miei genitori (matrimonio di religione mista, cristiana ed evangelica) e non ancora cresimato o avuta comunione, credo che la scelta di aderire o meno ad una religione debba essere demandata alla persona stessa al raggiungimento della maggiore età.

    Per chi volesse sbattezzarsi, qui ci sono delle informazioni.


  • Super User

    Ciao DonClaudissimo,

    sono d'accordo con te. Purtroppo le varie religioni esercitano una fortissima pressione sui genitori per convincerli a battezzare i propri figli. Parlano tanto di "integrità morale" ma quando arriva il loro turno di dare il buon esempio falliscono miseramente... 😞


  • Super User

    Buonasera,
    personalmente non sono d'accordo con il fatto che i genitori scelgano per i propri figli facendoli battezzare. Però una soluzione c'è: sul sito dell'UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, è presente una sezione intitolata "sbattezzo" nella quale potrete leggere tutte le informazioni utili al cancellamento degli effetti civili del battesimo.
    Arrivederci.
    🙂


  • Super User

    @max0005 said:

    Sorge quindi la domanda: E' giusto che i genitori "impongano", almeno per i primi anni di vita, la propria religione ai figli? E' vero che ogni religione presume di essere la sola depositaria della verità, ma è altrettanto vero che ogni persona ha il diritto di scegliere la propria fede.

    Mi intrufolo qui, su questa frase, per testimoniare la concreta difficoltà estrema di non far confluire il proprio Credo nell'educazione dei figli.
    Se per Religione s'intende infatti qualcosa che ammanta tutta la nostra vita e ogni pensiero di un alone di mistero e trascendenza, quel riferimento verrà sempre fuori; se non dalle parole sicuramente dalle azioni.

    So che non riscuoterò un grande successo con questa affermazione ma -credo- non sia poi così grave, in un clima di educazione aperta ed accettante, l'influenza misurata dei genitori nei primi anni di vita del bambino. Crescendo, poi, potrà affermare e seguire le proprie idee in completa autonomia.

    Questo discorso, nel mio caso, però, viene fuori anche dalla convinzione profonda che le Religioni hanno senso in ambiti territoriali ben precisi. Non ho mai creduto, cioè, che la religione Cattolica (ad esempio) sia la depositaria della verità a dipetto delle altre convinzioni, credo semplicemente che -parlando di religioni- sia quella più adatta all'humus dell'uomo occidentale. Non per tutti gli occidentali certo ma per i più si.

    Sempre per parlare concretamente e quindi personalmente, cerco di lasciare spazio alle domande più che alle risposte con mio figlio.
    Credevo che alcuni argomenti li avrei potuti trattare più avanti e invece i primi grandi dubbi e sgomenti sono arrivati a soli 3 anni, età in cui non ti puoi metter li a ragionare come fossi tra persone adulte.

    Attraverso le domande si può riuscire ad aprire uno spazio di conoscenza e rispetto reciproco (e questo non solo in ambito religioso); si deve partire frenando la nostra voglia di dare a tutto una collocazione certa e aiutare chi ci sta di fronte, in questo caso un bimbo, ad ampliare ed approfondire le sue stesse domande. Questo da una parte crea un terreno di accettazione e fiducia di base, che il figlio sente senza bisogno di spiegazioni; dall'altra gli fa capire che ognuno ha il dovere e il diritto di trovarsi le sue risposte.

    Trovo sia molto efficace l'esperienza; far conoscere, vedere, frequentare con i figli le varie diversità ed accoglierle tutte (non giudicarle cioè giuste o sbagliate ma solo reali e ognuna speciale) aiuta a capire e fargli capire a cosa si sentono più vicini e perchè.

    Vorrei anche aggiungere che -per quanto mi riguarda- è benvenuta ogni pratica -come quella di potersi sbattezzare- che ti da la possibilità di seguire solo te stesso.
    :ciauz:


  • Super User

    Ciao Cherry,

    So che non riscuoterò un grande successo con questa affermazione ma -credo- non sia poi così grave, in un clima di educazione aperta ed accettante, l'influenza misurata dei genitori nei primi anni di vita del bambino. Crescendo, poi, potrà affermare e seguire le proprie idee in completa autonomia.

    Io personalmente avrei preferito che mi venisse lasciata la scelta per quando fossi stato più grande, in modo da potere decidere per me e eventualmente iniziare una religione. Sono d'accordo che molti genitori dicono "da grande potrà scegliere per se stesso", ma in questo caso vorrei fare due osservazioni:

    1. Sceglierà sicuramente per se stesso. A meno che non venga immesso in un clima di pressioni sociali così forti da non potersene liberare arriverà sicuramente il momento in cui analizzerà la sua situazione e deciderà se gli piace o meno.

    2. Anche se i genitori vogliono lasciargli la libera scelta nonostante lo abbiano iniziato a una religione, molto spesso, anche inconsciamente, faranno gravare sul figlio un senso di colpa. E' sempre difficile per qualcuno ammettere di essersi "staccato dalla massa" per seguire la propria strada.

    Non voglio assolutamente dire che le mie convinzioni sono le migliori, e alla fine ogni genitori deve scegliere per il proprio figlio ciò che ritiene sia giusto per lui, io esprimo soltanto il mio punto di vista. :sun:


  • Super User

    Ciao max,
    hai ragione, molti genitori influenzano o cercano di influenzare molto i figli e, di conseguenza, i sensi di colpa da parte di chi cerca di prendere altre strade sono possibili, anzi molto probabili.

    Questo però non riguarda esclusivamente il campo religioso. Molte persone, per paura, per le continue pressioni e difficoltà in cui siamo tutti immersi, reagiscono cercando un controllo su tutto.
    La pressione nei riguardi dei figli copre ogni campo.

    Io sono convinta che un figlio è, di per sè, un'evoluzione. Imprimergli le nostre convinzioni comporta che si possano perdere quei "di più" con i quali sono nati. Le idee che -alcuni genitori- cercano di controllare, in realtà e a mio parere, sono cose di cui il bambino già è corredato geneticamente, non viene per ripeterle ma per rinfrescarle, rinnovarle, amplilarle, sconvolgerle ...
    Perdere quest'occasione per un genitore la ritengo follia.
    Allo stesso tempo rispetto la grande paura che porta un genitore a comportarsi in modo controllante e dominante. Non la condivido ma la rispetto.


  • Super User

    Ciao Cherry,

    è una mia ipotesi personale che più forte e stringente sarà il controllo, maggiore sarà l'ostilità e il rinnego di quello che il genitore voleva imporre. Finché il bambino è piccolo, e quindi incapace di far valere realmente la propria opinione, il genitore riuscirà a domarlo. Ma appena entrerà nella fase di vita in cui comincia ad avere qualche libertà in più: l'adolescenza, cominceranno, in certi casi, litigi capaci di far tremare il pavimento (e urtare il cuore di entrambi).

    Penso che, piuttosto di imporre qualcosa (sopratutto qualcosa di così delicato e personale come la religione), sarebbe meglio esporla insieme al proprio punto di vista e lasciare che alla fine ognuno scelga per se.

    Con questo non intendo una libertà assoluta, è ovvio che se in un futuro mio figlio entrasse a far parte di una setta che incita violenza e aggressività, per fare un'esempio, interverrei. Fa se mio figlio scegliesse di essere Islamico, Cattolico, Protestante o Buddista credo non avrei niente da obbiettare.

    Forse è più facile per me parlare, visto che parlo "per ipotesi" non avendo (per fortuna, vista la mia età 😉 ) figli, però spero di esserne ancora convinto nel "momento del bisogno". :sun:


  • Super User

    @max0005 said:

    Ciao Cherry,

    è una mia ipotesi personale che più forte e stringente sarà il controllo, maggiore sarà l'ostilità e il rinnego di quello che il genitore voleva imporre. Finché il bambino è piccolo, e quindi incapace di far valere realmente la propria opinione, il genitore riuscirà a domarlo. Ma appena entrerà nella fase di vita in cui comincia ad avere qualche libertà in più: l'adolescenza, cominceranno, in certi casi, litigi capaci di far tremare il pavimento (e urtare il cuore di entrambi).

    Sono profondamente daccordo.
    Molte cose della mia personalità le ho recuperate solo dopo molti anni, in quanto prima sono stata occupata a contestare tutto e tutti; quello e quelli che avevo subito come imposizione. Oggi so bene cosa fa parte di me e cosa ho ereditato (praticamente tutto).

    Quello che tu esprimi con esempi rientra perfettamente negli insegnamenti pedagogici moderni, in cui i paletti da mettere devono essere pochi ma solidi (pena l'insicurezza del bambino che senza alcun limite si spaventa e si blocca), tanto per dare al figlio la sicurezza di esplorare e scegliere in autonomia. :sun:


  • User Attivo

    Credo che come tutte le scelte importanti anche la scelta della religione deve essere una cosa meno "tradizionalista da tramandare".
    I miei geniotri non mi hanno battezzato e credo abbiano fatto bene. Gesù si battezzò sulla trentina, ci sarà stato un motivo!


  • User

    Il discorso secondo me è un po' troppo delimitato. Scriviamo di battesimo come se la scelta di una religione fosse demandata ad un atto formale. Come genitore potrei anche non battezzare mio figlio, ma potrei dire di averlo lasciato libero di scegliere? Come posso non infondergli quelle che sono le mie convinzioni, le mie opinioni e il mio modo di vivere?
    Vorrebbe dire non educarlo, non insegnargli cosa è giusto o sbagliato, in quanto deve trovare la sua strada da solo e nessuno può arrogarsi il diritto di dire ciò che è giusto. Nel momento in cui dico a mio figlio di essere generoso con il prossimo non starei già imponendogli la mia cultura religiosa e/o la mia filosofia di vita?

    Il problema ci sarebbe se la scelta dei genitori vincolasse i figli per sempre, ma mi sembra che in generale, eccetto per una religione, questo non esista ed ognuno sia libero di scegliere in base alle sue esperienze e convinzioni (poi le eccezioni dovute a genitori dittatori o figli succubi ci saranno ma rimangono eccezioni).

    Per cui non vedo problemi a battezzare i propri figli come in generale ad educarli secondo i propri valori (se questi non sono in contrasto con la legge).

    ps.
    ho letto l'articolo linkato sullo sbattesimo. Senza voler offendere nessuno mi sembra ridicolo. Si sta a guardare alla forma invece che alla sostanza: se uno non vuol più professare un credo non ha, per fortuna, bisogno di un atto formale per farlo.


  • Super User

    Ciao Banca_del_Risparmio,

    tu insegneresti a tuo figlio di pochi mesi a non insultare gli altri, non sputare per terra e non picchiarsi con altri ragazzi? No, ovviamente! Perché a quell'età comunque non sarebbe in grado di farlo o comprenderlo pienamente. Tutto va fatto per gradi, e imporre una religione prima ancora che abbia imparato a parlare o camminare vuol dire mettere il carro davanti ai buoi!

    Inoltre, proprio la religione che necessità di vera fede, ovvero avere la consapevolezza di quello che si sta facendo ed esserne davvero convinti, necessità di una persona più matura e capace di volere qualcosa. Un bimbo più piccolo potrebbe prenderla come un gioco, qualcosa di temporaneo o comunque non molto importante. Credo che se uno sceglie di avere fede in una religione, debba volerlo davvero e farlo seriamente. All'età di pochi mesi, il bambino non ha nessuna di queste qualità.

    Scusate se il paragone può sembrare blasfemo, ma battezzare un bimbo di pochi mesi non è come comprare il casco per il motorino a un neonato?

    ps.
    ho letto l'articolo linkato sullo sbattesimo. Senza voler offendere nessuno mi sembra ridicolo. Si sta a guardare alla forma invece che alla sostanza: se uno non vuol più professare un credo non ha, per fortuna, bisogno di un atto formale per farlo.

    A volte si vuole formalizzare l'atto con un documento ufficiale. Questo varia da persona a persona e ognuno deve essere lasciato libero di farlo (o non farlo).


  • Consiglio Direttivo

    Solo alcune brevi note a margine.

    I discorsi che qui vengono fatti, specie da Cherry e da Max, sono condivisibili e molto corretti, almeno "in astratto" - o, meglio, in una realtà "laica" e per così dire "illuminata" che vede la religione semplicemente come un importante aspetto culturale della vita.

    Se però ci immergiamo per un attimo in quella che è la pura e nitida ortodossia cattolica - quella cui i veri credenti dovrebbero uniformarsi costantemente, altrimenti sono Cristiani solo "a parole" - allora la prospettiva cambia radicalmente.

    Non si parla più di "sentimento religioso" come parte di una spiritualità complessa, mutevole e in evoluzione continua, ma di Verità assoluta. Punto e basta.

    Mi spiego. Senza scomodare teologia e catechesi, limitiamoci all'essenziale: i Comandamenti, cioè i pilastri su cui si fonda fede e comportamento di un credente cristiano.

    Il primo recita: "Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me."

    Il terzo invece afferma: "Ricordati di santificare le feste."

    Cosa può fare un cattolico di fronte a questo, se non proclamare la propria fede e diffondere quella che per lui è la Verità assoluta, unica, indivisibile e incontestabile?

    E come potrà il padre o la madre cattolica non professare il primo comandamento, oppure posticipare il Battesimo contravvenendo al terzo comandamento?

    Ragazzi, non scherziamo: si viene dannati per l'eternità se si trasgredisce ai comandamenti (e qui sono molto serio, in quanto rispetto le opinioni di chi, credendo in Dio, è anche profondamente convinto dell'idea di salvezza e dannazione).

    Il dovere "naturale" (nel senso che non è un vero dovere, ma il naturale trasporto indotto dall'amore verso Dio) del genitore cattolico è dunque quello di far sì che la prole faccia quanto prima il proprio ingresso nella comunità religiosa e si conformi per tutta la vita alla Verità del Vangelo.

    Il Battesimo, poi, monda l'anima dal Peccato Originale: quale coppia di genitori seriamente cattolici accoglierebbe con serenità in casa propria un figlio marchiato dal Male supremo, lasciandolo in quella condizione quando c'è pronto un rimedio? Chi abbandonerebbe il proprio figlio esposto alla disperazione di una vita senza la purificazione divina?

    Una madre copre il figlio per evitare che prenda freddo uscendo, e allo stesso modo una madre cattolica protegge il figlio dal Demonio con il Battesimo.

    Ne consegue che non esiste proprio l'oggetto del contendere: il Battesimo e l'educazione al culto fin da neonati sono semplicemente parte del modo di vivere quotidiano di una famiglia cattolica. Così come si dice ai figli che rubare è sbagliato, così li si porta a messa; così come si racconta loro che Cristo è morto per noi e che i cattivi vanno all'Inferno, così si fa di tutto affinché siano buoni cristiani e cattolici, oltre che cittadini modello e persone degne.

    Questo perché, per l'uomo di fede, la Religione non è un aspetto della vita (come gli amici, il tifo calcistico, i gusti gastronomici); è piuttosto la Via, la Verità e la Vita, al di fuori delle quali non c'è nulla di degno, interessante o buono.

    Ciò può non piacere o sembrare bigotto, ma la Fede è una cosa serissima (se la si considera tale) e per chi ne incarna i dettami non ci sono mezze misure, domande cui rispondere con dei "forse" o possibilità alternative da offrire con leggerezza.

    In una famiglia cattolica, un figlio che diventa Buddista è un dramma, non una cosa che si affronta con un "ok, purché lui sia felice, va bene anche così...".

    E i figli?

    Loro cosa possono fare? Ribellarsi? Scegliere una via diversa? Andare per la loro strada?

    No, non possono. Basta ricordare il quarto comandamento: "Onora il padre e la madre.", che chiude la questione una volta per tutte, ad ogni età e su tutta la linea.

    Ai genitori si obbedisce, perché i genitori portano la Parola e la Parola è la sola Verità che possa esistere, quindi cercare di scegliere una strada diversa significa semplicemente abbandonare in coscienza la strada che Dio, attraverso il messaggio portato dai genitori, ha scritto per la prole.

    La Fede, poiché ammette una sola Verità, non contempla variazioni sociali, di costume, di abitudini e di tradizioni. Il Credo che andava bene per una comunità di pastori palestinesi di duemila anni fa va bene anche oggi, e stop.

    Dunque non regge la tesi "quello che va bene per i genitori non va bene per i figli", perché per tutti c'è solo la Verità di Dio, che si fa beffe del tempo e dello spazio.

    Tale discorso, messo in una forma molto netta - ma la religione lo è, giova ricordarlo - si riallaccia a quanto detto da Banca del Risparmio poco sopra: un padre e una madre non riescono a vedere un figlio come un estraneo (e meno male!), ma come una parte profonda di sé cui cercare di dare un senso.

    Ciò si traduce in un'educazione basata sulle convinzioni dei genitori (religiose e non) e nel tentativo - spesso inconscio - di farne delle copie migliorate di chi li ha preceduti.

    Non vedo in questo qualcosa di intrinsecamente sbagliato, perché non vedo allo stesso tempo un'alternativa: educare i figli con maggiore libertà significa in altre parole trasmettere loro la nostra stessa libertà, magari aumentata a titolo di risarcimento per un eccessivo rigore cui siamo stati sottoposti, o magari ridotta per compensare un eccessivo lassismo dei nostri genitori che non ci è piaciuto.

    Il problema, purtroppo, è che nel crescere una prole gli errori sono statisticamente una certezza: da genitori, ne commetteremo sempre in quantità imbarazzante (così come hanno fatto i nostri genitori prima di noi, non ostante tutto il bene infinito che ci hanno voluto) e sarà sempre un miracolo se, a dispetto di tutti i bastoni che saremo riusciti a mettere tra le ruote dei nostri ragazzi, essi verranno su sani, equilibrati e felici.

    Le persone che credono hanno un grande vantaggio: hanno una strada educativa già tracciata, rigida e immutabile, cui rivolgersi in ogni situazione. Possono usarla come grimaldello per affrontare ogni problema (anche la morte dei figli) e, se commettono degli errori, non li considerano tali dal momento che fanno parte della strada tracciata da Dio, che per definizione è perfetta e senza sbavature.

    Atei e agnostici non sono così fortunati: il loro percorso devono inventarselo ogni giorno, senza bussole o punti di riferimento cui guardare.

    Una volta sentii questa frase: "Mettere al mondo un figlio significa condannare a morte un innocente".

    Chissà che non sia questo pensiero, di cui non tutti sono coscienti, a renderci poi inevitabilmente goffi, impacciati e incapaci rispetto a quei nostri successori che abbiamo costretto ad una vita di dolore e sofferenza, culminante senza possibilità di fuga nel trapasso.

    Senza che nessuno di loro ci abbia mai davvero chiesto di nascere...


  • Super User

    Ciao Leonov,

    grazie per la risposta esauriente, come sempre apprezzo moltissimo il tuo interesse alla nostra discussione! 😄

    Andiamo per ordine:

    Innanzitutto, anche quando "ero Cattolico", e questo potrebbe sembrare blasfemo ma non so come altro metterlo. C'è stato un periodo, negli anni passati, quando mi reputavo cattolico. Ora che ci ripenso non ci ho mai creduto veramente, trovavo sempre pesante alzarmi la domenica per andare a messa e andare dopo scuola al catechismo, ma questo è un'altro discorso. In ogni caso, non ho mai sentito il bisogno o il dovere di convertire qualcuno alla mia religione. C'era i Cattolici, e c'erano "gli altri". Anche allora però tendevo a giudicare da persona a persona piuttosto che "fare di ogni erba un fascio". Probabilmente non sono mai stato un vero religioso... in ogni caso non mi sembra giusto che le religioni obblighino i genitori a iniziare i loro figli senza dargli possibilità di scelta. Vorrei citare l'Articolo 18 della dichiarazione universale dei diritti umani:

    Articolo 18
    Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

    Posso capire la posizione dei genitori se sono sempre vissuti in un'ambiente religioso, e mettendomi nei loro panni (per quanto possibile) riesco anche a capire cosa induca il loro comportamento.

    In una società moderna e in continua evoluzione come la nostra, però, sembra impossibile che la chiesa continui a seguire alla lettera testi scritti migliaglia di anni fa, quando la situazione era completamente diversa e così il pubblico a cui si rivolgeva Gesù.

    La questione potrebbe essere discussa all'infinito, ma alla fine si riduce all'avere fede o meno. Dove c'è la fede, non c'è la ragione.

    Citando:

    Non sono certo che lo stesso Dio che ci ha concesso l'uso della ragione e l'intelligenza volesse che ne dimenticassimo l'uso.

    Continuando:

    Una volta sentii questa frase: "Mettere al mondo un figlio significa condannare a morte un innocente".

    Parto dal presupposto che i figli non vivano in chissà quale mondo prima di nascere, ma che non esistano, così come smetteranno di esistere dopo la morte. Lasciamo stare il discorso che nulla si crea/distrugge e limitiamoci ad intendere i figli come individui, esseri pensanti, piuttosto che "ammassi" di materia.

    Vedendo la situazione sotto un'altro punto di vista:

    mettendoli al mondo compiamo un miracolo. Gli diamo la possibilità di vivere, sperimentare, amare... la domanda che bisogna porsi è:

    Meglio divertirsi per poco, e poi smettere e rimpiangerlo per tutta la vita, rivivendo quei momenti per l'eternità sapendo di non poterli mai riavere o non divertirsi affatto e continuare nella propria monotonia?

    Qui è molto soggettivo, e non credo esista una risposta finale.

    (Nota: La domanda esclude diverse domande come: "Se muore può ancora sentirne la mancanza?" o "Se non è mai nato non è nella monotonia eterna, non vive e basta!")


  • Consiglio Direttivo

    @max0005 said:

    Vorrei citare l'Articolo 18 della dichiarazione universale dei diritti umani:

    Su quella Dichiarazione - e sul primo articolo, che ci vede nascere tutti "liberi ed uguali in dignità e diritti" - si fondano le Nazioni Unite e la relativa Assemblea.

    Lo sai chi non fa parte dell'Assemblea delle Nazioni Unite, in quanto si è sempre rifiutato di firmare la predetta Dichiarazione?

    Lo Stato del Vaticano.

    Dal loro punto di vista, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo non ha alcun senso, poiché per un Cattolico non siamo affatto tutti uguali. Ci sono quelli che credono in Cristo (e in particolare i Cattolici, che sono una parte dei Cristiani) e che per questo sono "eletti"; poi c'è posto per tutti gli altri, che non possiedono la Verità e dunque non sono uguali proprio per nulla ai Cattolici.

    Il vaticano ha all'ONU un Osservatorio Permanente con relativo Nunzio, ma non un seggio nell'Assemblea.

    "Cambiare religione" per un laico significa solo "cambiare idea sulla propria spiritualità individuale"; per chi ha fede, significa "voltare le spalle a Dio".

    Una bella differenza, lo ammetterai.

    @max0005 said:

    In una società moderna e in continua evoluzione come la nostra, però, sembra impossibile che la chiesa continui a seguire alla lettera testi scritti migliaglia di anni fa, quando la situazione era completamente diversa e così il pubblico a cui si rivolgeva Gesù.

    Occhio!

    La Chiesa non interpreta alla lettera le Scritture (quello lo fanno solo alcune sette e comunque non in tutti gli aspetti), ma cerca di adeguare il proprio passo - storicamente vincolato all'epoca corrente - alla Verità della Rivelazione.

    Di nuovo: un laico guarda il presente e costruisce la propria verità (inevitabilmente storica e storicizzata); un credente adatta il presente alla Verità immutabile, cercando non di tornare alle origini, ma solo di trarre da ciò che gli offre il presente i punti comuni con la Verità.

    (Il Papa ha un sito internet, ma per la Chiesa non si può in nessun caso usare il preservativo. Capisci cosa intendo?)

    @max0005 said:

    Mettendo al mondo [i figli] compiamo un miracolo. Gli diamo la possibilità di vivere, sperimentare, amare...

    Vero.

    Solo che non ce l'hanno mai chiesto.

    Un figlio potrebbe, è vero, voler esercitare il diritto alla vita - e alla sofferenza, all'amore, al piacere e alla morte - ma noi non possiamo saperlo. Facciamo i figli e li "gettiamo" nel mondo, sperando che siano felici e impegnandoci affinché soffrano il meno possibile; però il dubbio che loro non sapessero cosa farsene di una vita resta.

    Dico questo senza intento polemico: è semplicemente un fatto, almeno per come la vedo io.

    @max0005 said:

    ("Se non è mai nato non è nella monotonia eterna, non vive e basta!")

    Appunto.


  • Super User

    Allora sembra che la Santa Sede si basi su sentimenti di falsità e ipocrisia. Il messaggio di Gesù, sul quale si basa la religione e che vengono prima dei comandamenti o dei Vangeli è stato: "Vogliatevi bene." Si riferiva a tutti, senza fare distinzioni di sesso, razza o... religione!

    Ma alla fine, non si è sempre detto che contano più i fatti che le parole? Un mussulmano, o protestante, o ateo, o buddista che aiuta gli altri, cerca di non danneggiare l'ambiente e in generale si comporta "bene" non è forse altrettanto meritevole di un Cattolico?


  • Super User

    Credo ci siano tanti momenti diversi e tante sfaccettature della scelta genitoriale.
    Il moto è quello egoistico della vita, secondo me è inutile negarlo. Che poi -questo- vari di intensità e profondità a seconda della coscienza delle persone non cambia il punto di partenza.
    Che poi quel moto si trasformi in qualcosa di sconvolgente o in un semplice mattone per l'eternità sta alla storia di ciascuno.

    E' anche vero che, sul piano pratico, è impossibile non trasmettere se stessi ai propri figli come dice Leonov: prese una per una le nostre abitudini o i nostri modi di pensare, tutto ci rivela l'origine e la storia della nostra famiglia (o della mancanza della stessa). Siamo esseri che si formano in reazione a qualcosa e qualcuno.

    Però, ho anche notato, che c'è un quid che sfugge, un qualcosa che -anche per sorridere lo dico in questo modo- manderà in crisi tutto, colpendo proprio il primo pallino alla base, quello che teneva in bilico tutto l'apparato mostruosamente costruito giorno dopo giorno ... 🙂

    Guardando indietro (di poco) sorrido e quei momenti li continuo ad invocare. Di fronte a un figlio puoi (non sempre, forse sarebbe meglio dire che hai la possibilità di) trovare la follia di mandare in crisi tutto. Di fronte a lui non ci sono pigrizie, mezze convinzioni, titubanze ... cerchi il meglio e può capitare di comprendere che il meglio, anche -direi soprattutto- per te, è non avere troppe sicurezze.

    Io credevo, con l'educazione ricevuta, che un figlio avesse bisogno di esempi forti, solidi, sicuri, niente incertezze insomma, la pensavo davvero come la cosa più importante. Oggi mi sento di dire che sbagliavo, un figlio ha bisogno prima e soprattutto di realtà. Un genitore è una persona come le altre, può sapere meglio di te quando attraversare la strada ma non tutto il resto. Una madre ed un padre possono anche mostrare la loro strada e le loro titubanze ma fargli capire e sentire che è la loro, non per forza uguale per tutti. E possono anche fargi capire che gli possono dare (a volte) quelle sicurezze di base, di cura e di amore ma essere ancora loro stessi in cammino e crescita per tanti altri aspetti. Io penso che abbiano (i figli) -come abbiamo tutti ma dal resto del mondo non si può pretendere- bisogno di persone vere non speciali.

    Ci sono mille modi concreti per attuare questo, non è storia astratta. Le famiglie moderne, in questo, hanno il vantaggio di godere di minori schemi e rigidità; il mondo moderno col suo caos tremendo ha il buon risvolto di avere spazio per tutti (e appunto per nessuno ma qui andiamo ancora più fuori tema).

    Non riesco a vivere con rigidità alcune regole religiose, la mia personale follia religiosa mi porta a pensare che non c'è uomo o comandamento superiore all'Amore di Dio, ne superiore all'interpretazione che ognuno di noi ha e da di questo Amore (perchè se Credi, sai che è da Lui che viene), in un determinato momento, testimoniandolo con la sua vita.
    E credo, inoltre, che nessuna forzatura possa essere usata su nessuno.
    Non credo che possa giustificarsi con Fede il voler forzare un figlio seppur convinti che sia per il suo bene. Non credo proprio ci possa essere alcun profondo confronto interiore che non nasca e si sviluppi esclusivamente dentro noi stessi.

    Io vado in Chiesa ma non mi è mai venuto di dire a mio figlio come ad altri che è bene andare in Chiesa, o -nel suo caso- di portarcelo, di non portarcelo, di costringerlo, di portarlo decidendo prima quanto tempo ci saremmo trattenuti, di fargli sapere sempre quando o quante volte o perchè ci vado ... So bene che ogni cosa (in più di quelle naturali) che di me entrerà in lui, sarà, in futuro, solo un mattoncino in più da togliere per sentirsi se stesso e meno in balia.
    Mi viene naturale, quando vuol fare qualcosa di tremendo (per modo di dire, comunque i bimbi fanno e dicono spesso cose imbarazzanti :1: sorridere raccontandogli lo scenario delle possibili conseguenze invece di irrigidirmi o andare su tutte le furie.

    Anche in questo ... non riesco ad essere in linea con la visione rigida, drammatica e catastrofica della Chiesa e di chi si adegua con totalizzante Fede ai suoi precetti.

    Scusate sono andata parecchio OT oltre a dilungarmi troppo e ad esporre tutto in modo confuso. Ma la ricerca di perfezione personale l'ho abbandonata con la maternità ... da li in poi quello che ho potuto e posso dare al resto del mondo, lo do con lui che mi distrae e mi saltella intorno come ora .... impossibile tirare fuori qualcosa di sensato :giggle:


  • User

    @max0005 said:

    Ciao Banca_del_Risparmio,

    tu insegneresti a tuo figlio di pochi mesi a non insultare gli altri, non sputare per terra e non picchiarsi con altri ragazzi? No, ovviamente! Perché a quell'età comunque non sarebbe in grado di farlo o comprenderlo pienamente. Tutto va fatto per gradi, e imporre una religione prima ancora che abbia imparato a parlare o camminare vuol dire mettere il carro davanti ai buoi!

    ti rispondo che no a pochi mesi no, ma a 5 anni si, gli insegno a non insultare etc etc. Quindi in base al tuo paragone potrei battezzarlo a 5 anni.
    Non è una questione di età ma di presa di autocoscienza. Non sono psicologo o sociologo ma penso che l'età in cui una persona "esca" dalla famiglia e venga influenzata più dal gruppo parta in genere verso i 13-14 anni.
    E' chiaro che l'educazione sia già stata data prima, inclusa quella religiosa (intendendola in senso ampio come precetti del vivere sociale). Il battesimo è solo un atto formale, quasi più una tradizione, ma non vincola nulla e nessuno. Per questo non discuto tanto se sia giusto o meno il battesimo a 3 mesi, semplicemente non vedo il problema.

    Comunque la si pensi poi la cultura italiana è permeata dalla religione prevalente e tutti ne sono influenzati nel modo di concepire la società. Forse essendo protestante lo vedo meglio di altri, ne potrei fare tanti di esempi...
    Per esempio la stessa associazione che pratica lo "sbattesimo" è chiaramente figlia della cultura italiana. Nella mia cultura è un non-sense sia quello che dicono sia il motivo della loro esistenza.


  • User Attivo

    @gaetanuzza said:

    Buonasera,
    personalmente non sono d'accordo con il fatto che i genitori scelgano per i propri figli facendoli battezzare. Però una soluzione c'è: sul sito dell'UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, è presente una sezione intitolata "sbattezzo" nella quale potrete leggere tutte le informazioni utili al cancellamento degli effetti civili del battesimo.
    Arrivederci.
    🙂

    Già in altri Topic abbiamo discusso questo tema del Battesimo, se è giusto o meno battezzare i propri figli a qualsiasi età.

    Sono pienamente daccordo con gaetanuzza e voglio portare la mia esperienza di genitore.

    Io, pur non credendo in nessun Dio da sempre, anche se passai cinque anni, esattamente quarta e quinta elementare e le medie in collegi di suore e preti, battezzai i miei due figli in tenera età, mi pare uno o due anni per poi lasciarli liberi di frequentare il catechismo e ricevere i sacramenti, cosa che non scelsero.

    A mio avviso li battezzai, sbagliando, perchè la tradizione, l'influenza dei genitori, le abitudini portavano i genitori di quei tempi, avevo 24 e 27 anni, a seguire senza troppo pensare, e a fare quello che avevano fatto i propri genitori.

    I miei figli non me l'hanno mai fatto pesare perchè hanno capito tutto ma appena hanno visto il sito UAAR hanno proposto anche a me di sbattezzo.

    Lo abbiamo fatto insieme ognuno con la motivazione che almeno la coerenza di una persona che non crede debba scollegarsi totalmente da ogni marchio che qualcuno gli ha appioppato senza il consenso personale di individuo che può decidere delle proprie azioni.

    L'UAAR spiega benissimo le altre ragioni che, a mio avviso, devono portare gli atei o agnostici a sbattezzarsi e se anche sembra che non ti cambia la vita esserlo o non esserlo, credo che la coerenza sia importante e significativa per te e per gli altri.

    Per concludere affermo che troppo spesso si lega l'essere perbene e la correttezza morale delle persone al credere in Dio, mentre i fatti testimoniano spesso il contrario, non a caso in Italia, paese percentualmente altamente credente, si registrano le maggiori percentuali di trasgressori della propria fede, di ogni altra nazione.

    :ciauz:


  • Super User

    Sono d'accordo con tutti voi. Troppo spesso, come ha detto Zeitgeist, si associa immediatamente un non credente a una persona "cattiva". Credo che le persone vadano giudicato in base a quello che fanno e dicono piuttosto che in base a una religione. Molte religioni offrono "un'impronta comportamentale" che posso anche condividere, ma certi aspetti come l'essere legati a delle regole "aggiuntive", certe volte "campate in aria" è un'aspetto che non posso condividere.

    Nel pieno rispetto per tutte le religioni, penso che se una persona è "buona" lo sarà comunque, indipendentemente da fedi, cerimonie o preghiere: esattamente come un battesimo non è automaticamente una garanzia di avere un figlio "per bene".

    :ciauz: