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    Caserma Bolzaneto

    In altri topic di quest'area esprimiamo giusta preoccupazione per le repressione cinese del Popolo tibetano e dei suoi diritti civili.

    Altrettanta preoccupazione riportiamo per come in altri Paesi le più elementari regole civili siano brutalizzate, sino alle violenze e alle torture.

    Dimenticando incredibilmente però ciò che succede da noi.

    E' in corso in questi giorni il processo per i fatti di Genova in occasione del G8.
    A Genova si erano recati cittadini per esprimere il proprio dissenso nei confronti della globalizzazione.

    Come sappiamo, si lasciò incredibilmente, quanto abilmente, che squadre di teppisti organizzati distruggessero a man bassa, per poi intervenire in modi brutali come mai a torturare pacifiche donne, ragazzini e vecchi colpevoli solo di esprimere un civilissimo ed educato dissentire.

    La cosa sembra che fosse preparata da tempo.
    Si sa ad esempio che Fini, Vice Primo Ministro del Governo Berlusconi, assieme ai massimi esponenti politici di AN, restò a Genova per un intero pomeriggio nella Caserma dei Carabinieri di San Giuliano, contattando le forze di Polizia e dando chiare indicazioni.

    Si sa inoltre che il Ministro dell'interno Scajola confessa: - "Al G8 ho dato ordine di sparare se avessero sfondato la zona rossa".
    Si era dunque preparati alla carneficina, quella si voleva che, evidentemente, non è riuscita del tutto.

    E allora a manifestazioni finite, con solo un morto sul tavolo, si è pensato bene di colmare la misura.

    Credo sia inutile riportare la cronaca dei fatti che tutti conosciamo.

    Giusto per ricordare che accade da noi, in Italia, forse è il caso di evidenziare quanto è stato testimoniato di fronte ai Giudici da chi ha subito la tortura a Bolzaneto.

    Manganellate, minacce, umiliazioni: tutto ricostruito al processo da più di 300 testimoni
    ****Le violenze impunite del lager Bolzaneto


    imageC'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.

    Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.

    Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.

    Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).

    Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.

    Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà"

    La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".

    Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.

    Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).

    A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".

    Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.

    È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi.

    Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.

    D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi.

    Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.

    Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.

    In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P.

    B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.

    Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".

    Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto".

    Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.

    A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.

    Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".
    Il processo non è ancora terminato e la sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato.

    Ma i fatti ricostruiti dal dibattimento però, non sono più controversi; nessuno più li nega.

    Sono accertati, documentati e provati.

    E ci raccontano che per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti.

    L'indifferenza dell'opinione pubblica che tutt'ora tende a dimenticare, l'apatia del ceto politico e la noncuranza di quelle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini (dalle Forze di Polizia al Governo) appaiono se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.

    Non è stata mai data da nessun telegiornale, la notizia che il Parlamento europeo, ha pesantemente deplorato - "le sospensioni dei diritti fondamentali avvenute durante le manifestazioni pubbliche, ed in particolare in occasione della riunione del G8 a Genova, come la libertà di espressione, la libertà di circolazione, il diritto alla difesa, il diritto all'integrità fisica, ... esprime grande preoccupazione per il clima di impunità che sta sorgendo in alcuni Stati membri dell'Unione europea in cui gli atti illeciti e l'abuso della violenza da parte degli agenti di polizia e del personale carcerario, .../... non vengono adeguatamente sanzionati ... "

    Qualsiasi sia la nostra posizione politica, possiamo davvero dimenticare tutti noi, le istituzioni e lo Stato, che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, i diritti ed il corpo stesso di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati e violentati?

    Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza fiatare accondiscendendo così alla prossima Bolzaneto ?

    Dentro Bolzaneto
    Polizia irrompe alla Diaz
    Uno dei Black Blok
    La testimonianza di un Carabiniere


  • Super User

    No Andrez, noi NON possiamo dimenticare, NON DOBBIAMO dimenticare.
    In quei giorni a Genova è successo di tutto, la città saccheggiata, persone ingiustamente picchiate, umiliate, torturate. E non sono solo torture fisiche come si evince chiaramente dal testo che hai riportato.
    Ma putroppo tuto questo si è ripercosso anche in futuro nella mia città: con le persone che dicono che un morto è anche troppo poco, che è andata fin troppo bene, e che poi in fondo perchè ci lamentiamo? In fin dei conti per il G8 hanno fatto un sacco di lavori per abbellire la città... è vero, la città è bella, ma non me ne importa niente: il prezzo da pagare è stato troppo salato. (non dimentichiamo che appena Carlo è stato ucciso qualcuno ha urlato a un manifestante " l'hai ucciso tu, con il tuo sasso, l'hai ucciso tu!!")
    Non voglio proseguire, purtroppo non riesco ad essere obiettiva in merito a certe questioni, e richio di alzare troppo i toni.
    Vi dico solo che conosco persone che frequentavano la scuola Diaz, e a settembre, quando è iniziato l'anno scolastico loro hanno dovuto ritardare l'inizio delle lezioni, perchè prima hanno dovuto pulire il sangue dai muri e dai pavimenti.


  • Super User

    ...prima hanno dovuto pulire il sangue dai muri e dai pavimenti.

    Pestaggi ed abusi delle Forze dell'Ordine

    "abuso in atti d'ufficio 1°" I diritti negati, dalle Forze dell'*Ordine

    *

    "abuso in atti d'ufficio 3°" I diritti negati, dalle Forze dell'Ordine

    "abuso in atti d'ufficio 4°" I diritti negati, dalle Forze dell'*Ordine

    *Quando vengono negati i diritti dei cittadini, quando le Forze dell'Ordine compiono abusi, è irrilevante se lo fanno inneggiando a Mussolini o a Stalin, se sono stati istigati da un Ministro fascista o comunista.

    Rilevante è che si scaglino contro un cittadino solo perchè la pensa diversamente, e questo che si sia in Cina o in Tibet, in Iraq o in Italia.

    Dobbiamo solo fare tutto il nostro possibile affinché non avvenga e che le Forze dell'Ordine siano usate per mantenere la legalità, e ... la democrazia.


  • Super User

    Purtroppo certe immagini sono assolutamente inqualificabili, ma mi rendo conto che non il credo comune dal momento che molta, troppa gente pensa che in quei giorni non sia successo nulla di strano a Genova, e a prova di ciò c'è il fatto che i colpevoli con buone probabilità non sconteranno nessuna pena. L'unica cosa che posso rispondere è..
    "per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti."
    (F. De Andrè -Canzone del maggio-)


  • Super User

    Bolzaneto, chieste condanne per 76 anni

    Imputate 44 persone per le violenze nella caserma di polizia durante il G8 di Genova nel luglio 2001

    **GENOVA **- Condanne complessive per oltre 76 anni di reclusione sono state chieste dai pm, Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, per i 44 imputati nel processo per le violenze e i soprusi nella caserma della polizia di Bolzaneto, durante il G8 a Genova del luglio 2001. Per Giuseppe Fornasiere, ispettore di polizia penitenziaria responsabile dell'ufficio matricole, è stata chiesta l'assoluzione. Le pene variano da un massimo di cinque anni e otto mesi, a sei mesi di reclusione. Nella caserma di Bolzaneto, secondo i pm, furono inflitte alle persone fermate «almeno quattro» delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte europea sui diritti dell'uomo chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli anni Settanta, configurano «trattamenti inumani e degradanti».

    GIRONE INFERNALE - Durante la requisitoria, i pm avevano descritto la caserma di Bolzaneto durante il G8 come «un girone infernale». I reati contestati sono a vario titolo abuso d'ufficio, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso ideologico, violenza privata, violazione dell'ordinamento penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. I pm hanno chiesto inoltre la condanna dei cinque medici presenti nell'area sanitaria. Per Massimo Pigozzi, il poliziotto accusato di lesioni personali lo strappo alla mano subita da un manifestante e suturata senza anestesia, i pm hanno chiesto la pena di 3 anni e 11 mesi di reclusione.

    **RICHIESTE **- La pena più pesante è stata chiesta per Antonio Biagio Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria in servizio a Bolzaneto come responsabile della sicurezza. Tra le accuse nei suoi confronti, le percosse con calci, pugni, sberle e manganello in dotazione di arrestati e fermati per identificazione. Tre anni e 6 mesi nei confronti di Alessandro Perugini, ex numero due della Digos di Genova (il funzionario più alto in grado presente nella caserma), per Anna Poggi, commissario capo di polizia, per il generale della polizia penitenziaria Oronzo Doria (responsabile del coordinamento e dell'organizzazione) e per gli ufficiali di custodia Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia.

    Fonte: corriere.it


  • Super User

    A me leggere certi racconti fa sentire male, ma male fisicamente davvero, non capisco come si riesca a rimanere indifferenti. Non solo per la violenza in se ma anche per l'assoluta impotenza delle vittime sottoposte a tali violenze sistematiche e metodiche. 😞

    Fa rabbia vedere come una parte dell'Italia non tenga minimante in considerazione ciò che sia successo a Bolzaneto come in tutto il G8, come anche questa debba diventare una questione di destra e sinistra e di schiaramenti politici.

    Oltre a essere scandaloso è triste, è angosciante perchè ci sono vite segnate da questi eventi e la possibilità che se passa tutto sotto gamba la situazione possa ripetersi.

    Per altro in Italia pare non ci sia una legge specifica contro la tortura e dunque le pene sono decisamente ridimensionate.