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    'Na preghiera a n'Angiulo - Una preghiera all'angelo

    Mio padre (1908 - 1995) durante la guerra rimase a letto (a Napoli) con una troboflebite, mentre la moglie con i suoi tre figlioletti furono sfollati a Cassino, il posto più bombardato in assoluto della seconda guerra mondiale.
    " 'Na preghiera a n'Angiulo" (Una preghiera all'Angelo) è un poemetto ove mio padre descrive l'incontro fra un angelo e sua madre fuori l'uscio di casa.
    Mio padre e la sua famiglia sarebbero stati separati per un periodo che non avrebbero potuto prevedere - sarebbe stato di ben dieci mesi - se non dopo essersi reincontrati.

    Di seguito riporto un articolo di giornale sul poemetto " 'Na preghiera all'Angiulo" (Una preghiera all'Angelo) che però parla anche di un altro poemetto intitolato "LA VALIGETTA".
    Solo dopo queste introduzioni seguirà " 'Na preghiera a'n'Angiulo".
    Per forza di cose, sia la spiegazione del periodo di guerra che l'articolo di giornale, verranno riportati come anterpima sia de "LA VALIGETTA" che di "UNA PREGHIERA ALL'ANGELO".
    Nota: i due poemetti sono stati scritti nello stesso giorno di sofferenza, la Vigilia di Natale del 1943.
    Stefano

    «Si nun cant? ?io moro?»
    Un poeta spontaneo:

    dal settimanale Rinaldo in Campo (Napoli, domenica 10 novembre 1946)

    « Poeta nascitur ».
    Poeta si nasce: ci ripensavo giorni or sono, quando in una gradita sosta a Posillipo, il mio fraterno amico Emilio Ferrarese, mi faceva fare la conoscenza di questo poeta, simpaticissima figura di napoletano puro sangue, di quei napoletani che Libero Bovio scolpì in quel suo verso immortale:
    « ?si nun cant?io moro!? ».
    Le parole dell?autore sono tutte un canto, in ogni sua sincera espressione è l?immagine viva e palpitante della sua anima candida, che vibra di amore e sentimento di fronte a tutte le sensazioni dello spirito, siano esse belle o brutte. Canta egli, insomma, come presto vi dimostrerò, fermamente convinto nella sua bonaria, invidiabile filosofia, che chi canta fuga la infelicità, mentre chi piange la accresce.
    I suoi canti sono nati nel tormento, in quell?indicibile tormento di quella dura, tragica guerra, abbattutasi su tutta la umanità come il più inesorabile dei cataclismi, ed il cui pauroso ricordo non sarà mai scacciato dalla mente di chi ad essa riuscì a sopravvivere.
    L?autore, tempra d?industriale nostro, tutta genialità e spirito d?iniziativa, con un lavoro insonne e fattivo, aveva saputo assicurare a sé ed alla sua nascente famigliuola, tutto quanto occorre per non maledire la vita. Scoppia l?immane conflitto che tutto ferocemente sconvolge. L?autore vede crollare la sua industria sotto i bombardamenti, la sua famiglia è costretta a rifugiarsi lontano, ed egli solo, mentre si dibatte per salvare il salvabile, è colpito, per colmo di sventura, da un male che lo inchioda nel letto.
    È in questa atmosfera, che egli, fervido cristiano, sa nel canto trovare la fonte profonda dell?inesprimibile, la pacata rassegnazione verso l?ineluttabile, e mentre gli altri imprecano e si disperano, egli si conforta fissando in una poesia spontanea, sincera le immagini che agitano il suo cuore. Nascono così tra le altre, due composizioni ? « ?Na preghiera a n? ?Angiulo » e « ?A valigetta » ? che possono senz?altro catalogarsi come due schietti poemetti di guerra, perché è in essi la visione terrificante del flagello che nulla risparmiava.


    Nel primo poemetto l?autore comincia con l?esaltare la tenerezza della mamma sua, che vecchia e malandata, noncurante di tutti i pericoli dell?offesa aerea, accorre al suo capezzale:
    O bben? ?e mamma è ?o cchiù forte ammore,
    nisciuno bene è comm??a chillu là,
    parla cu l?Angelo e c??o Salvatore,
    e ?a dint??o lietto ?o figlio fà aizà.
    Grave è la sua malattia. Nessuna medicina appare atta a sanarla.
    Ll?aria e ?o sole d?oro, non serveva,
    e ?a morta for? ?a porta c?aspettava?
    La buona mamma fervidamente prega, e le sue implorazioni commuovono
    N?Angiulillo d?oro, c? ?a vucell? ?argiento
    che le va in sogno e le annunzia che il figlio suo è salvo. Il prodigio si compie. Il giovane non dubita più della sua guarigione, ripensa ai suoi cari lontani, che per ironia della sorte sono capitati proprio nell?inferno di Cassino. Si ricorda del padre della sua sposa, immobilizzato in un letto, e quindi invoca dalla mamma sua che si prostri di nuovo ai piedi dell?Angelo e lo preghi così:
    Angelo, salva ?a mamma e ?e figlie pure,
    salva ?a stu pate, stanco ?e malatia,
    ?a pace manna dint? ?a casa mia
    e salva ?o nonno ?e chesti criature?
    Egli è ormai certo che anche la nuova grazia non gli sarà negata, e in un impeto di ardente passione grida alla sua diletta sposa:
    Si tuorne tu che grazia e che gran festa,
    che belli vute ?e Sante aggiu prummise,
    se io te veco mo da sta fenesta,
    lieve l?inferno e miett? ?o Paraviso!


    « ?A valigetta » si riporta a quel triste Natale del 1943, quando Napoli, bombardata, avvilita, era in preda al caos generale per le truppe che vi arrivavano da ogni parte, per raggiungere il fronte a pochi chilometri di distanza. Sempre solo e prostrato dal male, che non gli dà tregua, egli trova unico conforto nel fissare sulla carta le immagini che si affollane nella sua mente, e prima fra tutte, quella dell?affrettata partenza di sua moglie e delle sue tre creature.
    Da chillu iuorne quanno tu partiste,
    ?o tiempo se fa luongo quante maie,
    tengo ?na cerevella sempe triste
    chien? ?e penziere e carrech? ?e guaie
    Intravede la mestizia della compagna lontana, e cerca d?infonderle coraggio:

    Che vonne ddì chist?uocchie sempe ?nfuse,
    pienz? ?o ritorno, e nun penzà ll?addio,
    appriesso a tte sta ?a valigetta nchiusa,
    che ten? ?o core mio e ?o core tuio?
    È precisamente a questa quartina che si riannoda l?ispirazione del poemetto. Egli ha dinnanzi a sé la donna amata e le sue tre creaturine costretto a fuggire da Napoli, ove non si resiste più per i continui, paurosi bombardamenti. Rivede la piccola valigia affidata a sua moglie con mille raccomandazioni, specie per le creature. Ricorda che i suoi non volevano saperne di staccarsi da lui, e con accorati accenti dimostra alla sua cara che di quella precauzione non si poteva fare a meno.
    Nun se raggiona cchiù cu? ?e cerevelle,
    ?e cchiese, ?o Salvatore, si è nu Santo,
    nun rispetta cchiù niente stu flagello,
    nemmeno ?e muorte dint? ?o campusanto!
    Il quadro della tragica situazione della città straziata è di una rara efficacia, ed intanto egli continua a rassicurare la moglie su di un domani migliore e sulle belle giornate, che certo ritorneranno, e nelle quali potranno ricostruire le gioie dei loro primi incontri, quando:
    Io dint? ?a ll?uocchie tuoie vedevo ?o sole,
    e ?o desiderio ?e vase me veneva.
    Lo assale di nuovo il dubbio che non riuscirà a superare il male che lo debella, e fa quasi il suo testamento spirituale, rivolgendo il suo primo pensiero alle sue creature:
    A copp? ?o Paravise songo scise,
    tre angiulille cu? ?e faccelle argiento,
    so tre pe nove ventisette mise,
    pare ch? è stata na fatica ?e niente?
    Incita la moglie a tenere celata per quanto le sarà possibile ai suoi bimbi la verità, se non dovessero più rivederlo, e la esorta a fare del suo meglio perché ad essi non manchi il più lieto avvenire. La conforta ancora e la invita a rassegnarsi lasciandole comprendere che
    ?A guerra ?e meglie frutte sta cuglienno,
    pure ?a Madonna chiagne e se ne more?


    Nobili e commosse espressioni, come si vede, che nella loro semplicità rivelano quasi l?anima di un bimbo che diverta a fare le bolle con le lagrime. Nessuna pretesa letteraria, quindi, nè artifizio di sorta, ma solo un colorito, appassionato discorso al sentimento ed all?immaginazione; parole dense di passione e di tenerezza che indubbiamente prendono, e suscitano in ogni animo sensibile echi, risonanze e associazioni di idee, che rispecchiano in tutta la loro rude evidenza episodi vissuti. Poesia popolare, dunque, che sgorga spontanea dal cuore dell?autore, poesia sentita, tutta fervida di fantasia, ma lontana da ogni forma riflessa o meditata. Ed è questo, a modesto parer mio, il pregio grandissimo dei due poemetti, che riaffermano, come effettivamente in questo divino paese del sole ? e l?indimenticabile don Liberato che canta ? :

    tutt? ?e pparole
    so? doce o so? amare,
    so? ssempe parole d?ammore!

    LUIGI DE LILLO

    ?NA PREGHIERA ALL?ANGELO
    (in napoletano)

    (Il figlio)
    Quando ?stu core veglia, e ?a mano scrive,
    A vicchiarella mia, se fa cchiù doce,
    Mi fa vasà a curona cu ?lla croce,
    E po? mi dice ?è notte, figlio mio?.

    ?O bene e mamma è o cchiù forte ammore,
    Nisciuno bene è come chillu là.
    Parla cu ll?angelo e co? Salvatore,
    Va dint? ?o lietto d??o figlio p? ?o sanà.

    È quasi certo, ?na machina p?Atina,
    ?A spesa do nulleggio e gran mistero.
    Molto cara, carissima Assuntina,
    Si tuorne tu, ?o vveco e nun ?o credo.

    ?Nchiuvato int?a nu lietto, dimme pecché, ?nchiuvato ?a quatte mise.
    Povero suocero, vi? che dolore!
    Li spezza n? arto nu destino ?mpiso,
    Sta luntananza ?a te li spezza ?o core.

    E nu ricordo, proprio all?intrasatte,
    Poc?ati iuorne durano ?sti ppene.
    Vint?e febbraio do quarantaquattro,
    Vengo a te piglià ?a mmieze a?lla neve.

    ?Na grave malatia ca tenevo
    Nisciuna medicina me sanava.
    L?aria e ?o sole d?oro nun serveva,
    E ?a morte for?a porta c?aspettava.

    Atturno a me vedevo tutto niro,
    Nisciuna cura ca me sullevava.
    Dint?o delirio, e quasi ogni sospiro,
    ?Stu peccatore a Dio desiderava.

    Doppo nu tiempo arrivava a mmedicina,
    Ca me mannaie lu Signore ?a cielo
    E pe ?nfermera mammema vicina
    Ca me ?nfasciava ?o core ?inta nu velo.

    (La madre)
    «Stanotte, figlio, che me so? sunnata,
    N?angelo d?oro e ca vucella argiento
    M?ha ditto ?è salvo, non vi disperate,
    Chiagnite ?e gioia e statevillo attiento?.

    Po? pare c?aggiu ?ntiso ?o campaniello,
    Comme nu lampo so? curruta a? porta.
    Primme ?e ?rapì, na voce ?e bambiniello
    M?ha ditto, ?non aprite! E state accorta?.

    Me so? scetata cu? ?na vermenara,
    Vicino ?o lietto tuoio songo venuta,
    T?aggiu vasato ?nfronte, figlio caro,
    E l?angelo di Dio aggiu creduto.

    Figlio, ?a fede è ?a cura cchiù pussente,
    Dà luce a? vista e ti schiarisce ?o core,
    Fa doce ?e pene e chelle più pugnente
    Te sana ?o male e calma ogni dolore.»

    (Il figlio)
    «Oi ma?, si l?angelo stanotte chiamme,
    Dille pecché ?sti core ha cundannate,
    Pecché ?li figli miei cu? lla mamma
    Mo stanno dint? a ?llu fuoco carcerate.»

    (La madre)
    «Figlio, figlio mio caro,
    Minete ?e piere ?e ?st?angelo putente,
    Spannelo n?terra nu tappeto e rose.
    Iengole ?e lacrime de cchiù cucente,
    Vasale ?a spada e dille tutte cose.»

    (Il figlio)
    «Nun te scurdà ca non appena arriva
    Prialo tu ?e chesta ca mo scrivo:

    ?Salva alla mamma e salva ?e figli pure.
    Salva a?llu pate stanco e malatia.
    Salva a?llu nonno de lli criature,
    Manna la pace dint?a casa mia?.»

    Natale 1943

    UNA PREGHIERA ALL'ANGELO
    (traduzione in italiano)

    (Il figlio)
    Quando questo cuore veglia e la mano scrive,
    La mia vecchietta si fa più dolce,
    Mi fa baciare la corona con la croce
    E poi mi dice ?è notte figlio mio!?

    Il bene della mamma è l?amore più forte,
    Nessun bene è come quello.
    Egli parla all?angelo ed al Salvatore,
    Va nel letto del figlio per guarirlo.

    È quasi certo, una macchina per Atina,
    La spesa del noleggio, un gran mistero.
    Molto cara, carissima Assuntina,
    Se torni, lo vedo e non lo credo.

    Inchiodato in un letto, dimmi perché, da quattro mesi,
    Povero suocero, vedi che dolore,
    Un destino impiccato gli spezza un arto!
    Questa lontananza da te gli spezza il cuore.

    E un ricordo, proprio all?improvviso:
    Pochi altri giorni durano queste pene.
    Venti di febbraio del quarantaquattro:
    Vengo a prenderti in mezzo alla neve.

    Avevo una grave malattia,
    Nessuna medicina mi curava.
    L?aria ed il sole d?oro non servivano,
    E la morte fuori la porta che aspettava...

    Attorno a me vedevo tutto nero,
    Nessuna cura riusciva a sollevarmi.
    Nel delirio e quasi ad ogni sospiro,
    Questo peccatore Dio desiderava.

    Dopo del tempo arrivò una medicina
    Che mi mandò il Signore dal cielo,
    E per infermiera mia madre vicino
    Che mi fasciava il cuore in un velo.

    (La madre)
    «Figlio, che ho sognato stanotte!
    Un angelo d?oro con una vocina d?argento
    Ha detto ?è salvo, non vi disperate,
    Piangete di gioia e abbiatene cura?.

    Poi mi è sembrato di udire il campanello,
    Come un lampo sono corsa alla porta.
    Prima di aprire, una voce di bambino
    Mi ha detto ?non aprite e state accorta!?

    Mi sono svegliata con una paura,
    Vicino al letto tuo sono venuta.
    Ti ho baciato in fronte figlio caro,
    E all?angelo di Dio ho creduto.

    Figlio, la fede è la cura più potente,
    Dà luce alla vista e ti schiarisce il cuore,
    Fa dolce le pene, di quelle più pungenti,
    Sana il male e calma ogni dolore.»

    (Il figlio)
    «Madre, se stanotte chiami l?angelo,
    Digli, perché questi cuori condannati?
    Perché i miei figli con la mamma
    Adesso stanno nel fuoco carcerati?»

    (La madre)
    «Figlio, figlio mio caro,
    Gettati ai piedi di quest?angelo potente,
    Stendigli in terra un tappeto di rose,
    Riempilo di lacrime le più cocenti,
    Baciagli la spada e digli tutto.»

    (Il figlio)
    «Non dimenticare, non appena arriva,
    Pregalo tu di questo che ti scrivo:

    ?Salva la mamma e salva pure i figli,
    Salva il padre stanco della malattia,
    Salva il nonno delle creature,
    Manda la pace nella mia casa?.»

    Natale 1943